
Cartoline del passato per
un presente in divenire. Intervista a Nian
di Asia Neri
INTRO è la cornice di senso che raccoglie l’intima indagine di Nian. Dal latino intro «dentro», il vocabolo indica un movimento verso l’interno e viene spesso utilizzato come elemento compositivo di altre espressioni. Intro-spezione, intro-duzione, intro-missione. Quando il prefisso si lega ad altri sostantivi, si arricchisce di nuovi significati, conservando la propria radice semantica, quella dell’addentrarsi verso qualcosa di più intimo. Per l’esposizione curata da Street Levels Gallery, intro rimane in solo. La morfologia di questo vocabolo ci suggerisce alcune delle premesse che abitano la ricerca di Nian: il sé dell’artista è significato e significante, indipendente all’interno del proprio spazio semantico e disponibile a interfacciarsi con l’Altro, generando nuove combinazioni di senso. INTRO ci comunica che la gestione delle relazioni umane non può prescindere dall’equilibrio tra plasmare ed essere plasmati, tra contenuto solido e forma fluida, tra prendere e lasciare andare. Nian lavora sulla genesi del proprio io e sulla sua trasformazione scandita da visioni cicliche. Nell’alternarsi di queste periodicità, la sua arte trova un timbro stagionale; e così le sue creature femminili si celano nel tempo invernale, tra intimità e segreto, fino a manifestarsi nei momenti primaverili con un segno morbido e generativo.
Il suo sketchbook invece assomiglia a una raccolta di cartoline del passato che, nello stratificarsi, compongono un presente in continuo divenire. Sfogliarne le pagine significa scoprire la materia più nuda della sua ricerca, i luoghi dell’inconscio più silente, la dimensione più profonda e privata, la poesia più impulsiva, un alfabeto emotivo libero di fluire.
Questo articolo raccoglie alcune battute del dialogo con Nian e segue una partitura che attraversa i tre luoghi concettuali indagati dall’artista. I titoli dei sotto paragrafi sono citazioni raccolte dallo sketchbook, pensieri che suggeriscono un implicito rimando a queste tre stanze interiori: ‘ricordati di respirare’ richiama il rapporto con il processo creativo e con la sua metamorfosi; ‘paranoia al limone’ approfondisce le criticità nel relazionarsi con il rumore di fondo; ‘spavalda la notte, senti che trema?’ racconta il suo lavoro nello spazio urbano durante le incursioni notturne. Nell’aprirsi progressivamente al pubblico, Nian è stata capace di conservare uno spazio dell’inspiegabile. La sua indagine mistica, primitiva e talvolta straniante invita a interrogarsi sul proprio intimo femminile, accettandone le contraddizioni e accogliendone lo stato sensibile.
Ricordati di respirare
INTRO è un titolo dall’alta carica simbolica, un’introduzione alla tua indagine artistica, la prima apertura al pubblico della tua dimensione privata. Cosa significa questo momento per il tuo percorso? Il tuo immaginario sicuramente nel tempo si è trasformato ma ci sono delle suggestioni che non ti hanno mai abbandonata. Quali sono e quanto sono ancora presenti?
La mia ricerca si articola in diverse fasi, mutevoli e imprevedibili. Il leit motiv che ritorna con ritualità è la relazione del soggetto femminile con lo spazio: la correlazione tra questi due elementi però si trasforma, assumendo accezioni diverse perché diverse sono le manifestazioni del mio vissuto interiore. Ogni tela è un po’ come guardarsi allo specchio, è un’esperienza riflessiva che invita a empatizzare con un determinato stato emotivo. La relazione tra i corpi femminili e lo spazio racconta proprio questo, un vocabolario di percezioni collocate in un presente atemporale.
la stretta relazione dei corpi femminili con lo spazio descrive lo stato emotivo provato in quel momento. È stato curioso notare come nella serie ‘Like Something Holy’ – dove ogni opera prende il nome di una tonalità di rosso – lo stesso soggetto assumesse una postura diversa e, dunque, uno stato emotivo diverso. Molte opere della serie condividono il tentativo di nascondersi, ad eccezione di una. Quest’ultima, a differenza delle altre, assume una postura protesa verso l’esterno, verso l’occhio di chi guarda ed è desiderosa di rivelarsi.
Anche in questo caso, i corpi nudi e avvolti su se stessi cercano di trovare il giusto incastro, tentano di posizionarsi nello spazio per instaurare una relazione con l’ambiente attorno. Questi corpi si legano ad ambientazioni diverse che a volte richiamano un attaccamento alla realtà, alla dimensione intima della stanza, della casa, di uno spazio fisico e materico; altre volte invece sono luoghi concettuali, astratti e rarefatti che comunque si legano alla mia biografia e al mio vissuto.
Riusciresti a identificare alcuni simboli chiave, dei riferimenti visivi che ritornano spesso nella tua ricerca?
Non saprei ritrovare dei veri e propri simboli piuttosto degli immaginari. Sono sempre stata legata alla dimensione della natura, utilizzandone dei riferimenti propri del mondo animale e vegetale. In questo periodo invece, sento un forte legame con il corpo, in particolare con le mani e con l’occhio che richiamano rispettivamente la pratica e la visione. Entrambi fanno parte della mia ricerca e di una dimensione legata alla scoperta, alla curiosità dell’essere bambina. C’è una citazione di Pablo Picasso che esemplifica bene questa suggestione, “a quattro anni dipingevo come Raffaello, però ci ho messo tutta una vita per imparare a dipingere come un bambino”. Ecco, anche per me vale lo stesso e sono solo all’inizio di questo percorso verso la spontaneità della creazione artistica. Purtroppo non sono brava a spiegare la mia ricerca a parole perché non è il mio mezzo. Io sono quello che faccio, in quello che faccio ci sono io. Cosa sono adesso? Sicuramente quello che ho fatto fino a ora, ma ne ho consapevolezza solo nel momento della pratica e del flusso creativo.
Per entrare in questo flusso introspettivo ti sei creata un rituale che ti permetta di isolarti dal rumore di fondo?
Mi capita spesso di mettere la musica e di lasciarmi andare al movimento per accendere la mia sensorialità, aprire canali e immergermi dentro me stessa. La musica mi aiuta anche a rimanere in questa condizione di introspezione, senza cedere alle distrazioni e alle voci che ogni tanto tornano a disturbarmi. ‘Qui l’ombra dovrebbe essere diversa?’ oppure ‘la prospettiva non torna’ sono alcune delle interferenze dalle quali cerco di liberarmi nel momento in cui mi approccio alla tela. Devo dire però che anche il silenzio, se profondo, rappresenta una buona condizione per creare.
Paranoia al limone
Come interferisce dunque con la tua ricerca il rapporto con la dimensione esterna e con il giudizio dell’altro? La situazione pandemica ha avuto un peso trasformativo per la tua arte?
La mia ricerca è segnata da una continua lotta contro il giudizio dell’occhio esterno, contro le mie auto-sentenze, contro i vincoli imposti dalle sovrastrutture tecniche e stilistiche di stampo accademico. Sembra contorto ma per entrare nel flusso creativo devo sempre cimentarmi con il tentativo di disimparare ciò che mi è stato insegnato. Il periodo della pandemia, in particolare quello della prima quarantena, è stato cruciale in questa operazione. L’isolamento ha assecondato un processo di profonda introspezione, portandomi a eliminare gli elementi di disturbo, il contorno, le voci degli altri. Mi sono guardata di più allo specchio, asciugando e spogliando la mia ricerca fino a ritrovare e riconoscere finalmente me stessa in quei corpi femminili che prendevano forma dallo sketchbook fino alla tela. Mi sono sentita finalmente libera di capire e di ammettere che quelle figure dalle posture talvolta timide e contorte, talvolta fiere e spavalde rappresentavano i miei stati emotivi. Ed è stato curioso vedere come le soggettività che disegnavo, prima bambine e via via sempre più mature, erano analoghe al mio percorso di crescita artistica. Quell’universo femminile raccontava e racconta tutt’ora il mio io, non in quanto pilastro solido, piuttosto come materia fluida che attraversa lo spazio e il tempo, che cambia forma e che è sempre più consapevole delle proprie scoperte. INTRO traduce tutto questo e delinea lo stato d’arte della mia ricerca, ancora in corso d’opera ma sicuramente più matura, cosciente e decisa nel raccontarsi.
In quali opere senti di essere riuscita a liberarti di questo frustrante rimando all’occhio esterno? Dove ritrovi di più te stessa e senti di poter affermare a voce alta ‘questa sono io’?
Sicuramente la dimensione dello sketchbook rappresenta la mia espressività a tutto tondo. I disegni, in quanto sketch, sono figli dell’impulso, dell’anti-pensiero, della fluidità creativa, della sperimentazione senza filtri. Lo sketchbook raccoglie un’ampia varietà di stili e tecniche, fino alla parola. A metà strada tra il flusso inconscio dello sketchbook e la rielaborazione del disegno su tela c’è la fabbrica. Il luogo che accoglie i miei disegni su più ampie dimensione, permettendomi di rimanere svincolata e, al contempo, di uscire dalla dimensione privata, superando la timidezza nell’espormi. La fabbrica e la strada sono una sorta di terapia d’urto, mi aiutano a confrontarmi con la sfera pubblica della società. Lo sketchbook rappresenta invece un contenitore di sperimentazione. Forse qualcuno non mi riconoscerà perché la differenza è abissale rispetto agli altri lavori, ma io sono molto affezionata a questa cornice più intima e privata della mia ricerca.
Spavalda la notte, senti che trema?
Com’è iniziato il tuo rapporto con la strada? In che modo ha contribuito alla tua ricerca?
Quando ho iniziato a frequentare l’Accademia delle Belle Arti ero molto timida, mi vergognavo a dipingere in aula. Spesso aspettavo l’orario in cui le persone iniziavano ad andarsene per sentirmi più tranquilla e lavorare con serenità. Quando ho conosciuto altri artisti come Exit Enter, James, Stelle Confuse e ho iniziato a frequentarli anche fuori dal contesto universitario, mi sono avvicinata alla strada. Mi sono sentita accolta, un elemento decisivo per uscire dalla mia zona di comfort e sperimentare insieme ad altre persone. Inizialmente non stato facile, vedevo i miei amici uscire in strada, ero attratta dal loro spirito di iniziativa e, al contempo, lo respingevo. Poi ho iniziato ad abbandonare i miei disegni in giro per la città. Il sentimento di inquietudine nel distaccarmi dalle mie creazioni era accompagnato da un senso di liberazione e leggerezza. Ho iniziato ad apprezzare l’idea di condividere i miei disegni, di renderli pubblici, di buttarli sulla strada per vedere cosa sarebbe successo. Ho lasciato andare. E da questa nuova esperienza è nato un gioco, una sfida con me stessa. Nessuno sapeva che ero io, la strada era il luogo della sperimentazione, un modo per uscire da me stessa. Gli interventi notturni sono divenuti il pretesto per innescare nuovi punti interrogativi che confluissero all’intento della mia ricerca: cosa voglio comunicare agli altri? Cosa voglio dire con i miei disegni? Ho iniziato a raccontare la sfera istintuale della natura umana, la consapevolezza di essere animali sociali bisognosi di convivialità e vitalità. Dal cane che scodinzola a elementi del mondo floreale, alcuni simboli sono diventati per me un espediente rituale, un invito – rivolto tanto a me stessa quanto agli altri – a ritrovare una connessione profonda nei rapporti interpersonali, una spontaneità e una naturalezza proprie di tutti gli esseri viventi.
La tua presenza in strada, in quanto una delle poche artiste donne che intervengono nello spazio pubblico, ti ha caricato di un senso di responsabilità? Il bisogno di veicolare il messaggio di Nian passava anche dalla necessità di comunicare, più largamente, l’esistenza femminile?
La mia ricerca, in particolare quella sulla natura, è sempre stata legata alla sfera della fertilità e della creazione, alla valorizzazione dell’energia femminile. Questo immaginario non rappresenta però una vera e propria rivendicazione del mio essere donna perché non ho mai percepito il discorso di genere in modo antagonista. Il ruolo sociale della donna nella nostra società è ancora subordinato a quello dell’uomo, questo è un dato di fatto, ma la mia ricerca non ha più valore rispetto a quella di un artista di genere maschile. Ritengo però sia giusto far presente le difficoltà e i vincoli che un’artista si trova ad affrontare nell’uscire fuori in strada, nel confrontarsi con diversi aspetti della quotidianità che rendono il nostro lavoro molto più complesso e, purtroppo, non così scontato.