
“Cerco di dire qualcosa alla città,
a tutti quelli che vivono la mia città”
– Conversazione con l’artista dietro
Frogmen (1979), il primo progetto
di Street Art a Firenze
di Isabel Carrasco Castro
Cronache di una ricerca avventurosa
Nell’ottobre del 2020 ero a Firenze a bermi una birra con lo sticker artist Stelle Confuse. Stavamo discutendo sui primi stencil e sticker a Firenze, giocando un po’ al “chi è stato il primo che…”. Al contrario delle canoniche immagini sull’artista ermetico che vive lontano da tutti, Mirco si è creato una vasta rete di collaborazioni internazionali, grazie alle sue enormi conoscenze e alla sua generosità. Eravamo in Piazza S. Pier Maggiore e tutto d’un tratto Mirco puntò ad una vetrinetta comunale, sostenendo che sotto la struttura ci fosse uno stencil risalente agli anni ‘70 e che vi fosse un libro sull’argomento presso la Biblioteca Marucelliana di Firenze. Mentre provavo a digerire questo ricco quanto conciso pezzo di informazione, cominciai a Googlare sul telefono varie combinazioni di parole chiave: “stencil” “1970”, “Marinai”, “Firenze”…nessun risultato. – “Non troverai niente così. Vai in biblioteca e cerca quel libro” – mi disse. Quello fu il giorno in cui ricevetti uno dei regali più belli che una ricercatrice come me potesse desiderare: un indizio da ricercare (grazie Mirco, hai davvero “piantato uno dei tuoi alberi” in quella occasione). Giustappunto, quell’informazione innescò una vera e propria ossessione, che non si è fermata fin quando non ho trovato sia il libro sia Aroldo Marinai. Seguì una camminata intorno al Ponte all’Indiano per valutare varie idee da inserire in un futuro libro, e un’intervista telefonica a Marinai fatta da un parco. Eravamo troppo elettrizzati per sentire freddo.
Il secondo lockdown (Zona Rossa, come veniva chiamata allora) mi bloccò a Firenze dopo molte ricerche sviluppate sul campo e una miriade di informazioni di cui scrivere. Allo stesso tempo, il genio che si cela dietro il progetto lisbonese Urban Creativity mi fornì l’occasione di scrivere un articolo per l’edizione del 2020. Avevo tempo e un tesoro prezioso tra le mani, perciò cominciai a scrivere. Così iniziò la mia avventurosa ricerca.
Dopo aver scritto il primo articolo su Frogmen, chiesi il permesso a Marinai di ripubblicare il suo libro; l’umanità doveva in tutti i modi avere accesso a quel libro! E fu così che ricevetti il secondo regalo di questa avventura: Marinai mi invitava a scrivere la prefazione di questa nuova edizione. Nonostante i contatti con Frogmen e tante riflessioni, scritti e presentazioni sul tema, il mistero su questo progetto continua tutt’oggi ad affascinarmi. Così la personalità di Marinai. In un’ulteriore dimostrazione di generosità, Marinai ha accettato di rispondere alle seguenti domande. Avvincente come è, devo ammettere che fu davvero difficile anche solo scegliere che cosa domandargli.
Frogmen è stato un progetto multilivello. Puoi spiegarne brevemente il processo? In quali circostanze è iniziato, si è sviluppato ed è finito, ma soprattutto come è stato modificarne il medium – dallo stencil, al libro, all’esposizione…?
Io non sono un “artista di strada”; lo dico con un certo timore che ciò sia considerato snob, ma io sono irrimediabilmente un “pittore da salotto”. Come tale ho sempre lavorato. Con un particolare da notare: invece di ripetere sempre uno stesso soggetto e una stessa maniera ho amato cambiare. Non mi interessa che qualcosa si venda bene oppure ottenga vasti consensi. Corro libero. Quando è passata l’onda di piena, chiamiamola ispirazione, abbandono armi e bagagli.
Alterno strumenti, supporti, temi ogni tre o quattro anni. Uso oli e acrilici, pastelli, pennelli giapponesi da calligrafia, spray, inchiostri, terre, penne e pennini… e tele, carte, fotografie, incisioni, serigrafie, libri in copia unica…
Quando cominciai a invadere i muri del centro di Firenze non avevo nessun progetto. Le giornate erano lunghe, la gente sonnolenta. Fu divertente e vitale. Alla fine si decise di fare una mostra documentativa fotografica e performativa. Dopo la mostra venne l’idea del libro. Così, semplicemente.
Quando ho scoperto del progetto Frogmen da Stelle Confuse, l’ho trovato sconvolgente, come penso lo sia stato per la generazione di persone che fino ad oggi non ne hanno mai sentito parlare. Quando sei diventato consapevole dell’importanza di Frogmen nella storia della street art italiana ed europea?
Per essere sincero non c’è mai stato un momento di consapevolezza legata al mondo di quella che sarà poi detta street art. Quello che si vedeva sui muri in Italia (intendo dire: a parte le affissioni pubblicitarie) erano scritte politiche o di tifoserie sportive. Così Frogmen nacque non tanto come “progetto” quanto come gioco creativo – io ero grafico, pittore, serigrafo -, come una provocazione minimale rivolta ai miei concittadini.
L’espressione “Street Art” è stata utilizzata per la prima volta negli anni ‘80. Quali termini utilizzavano allora le persone per identificare quello che artisti come te o Basquiat stavano realizzando?
In quegli anni, fine ’70, quello che io facevo sui muri era definito “vandalismo”. Non c’era alcuna relazione fra “fare arte” e “imbrattare spazio pubblico”. Dunque non c’erano definizioni che presupponessero uno sguardo tollerante, men che meno benevolo. Post-graffiti o street art o altre definizioni erano davvero di là da venire.
Come apparivano i muri di Firenze alla fine degli anni ‘70?
I muri di Firenze, in centro, sono sempre stati seri, rispettabili e virtuosi. I miei segni erano quasi invisibili. Se non li avesse visti Miriam Spezi non se ne sarebbe mai parlato, credo. Miriam Spezi è la moglie di Mario Spezi, giornalista de La Nazione. Si accorse dei sub sui muri e ne parlò con Mario (“hai notato quella buffa cosa sui muri?”) che ne scrisse un articolo. Fu così che questa storia divenne anch’essa parte del progetto.
Frogmen è stata l’incursione di una notte per le strade. Perché non sei intervenuto ancora? Ti ha mai tentato l’idea di tornare in strada ancora una volta?
Non ho mai desiderato tornare a segnare i muri con altri soggetti. Non sono attivamente interessato alla street art, anche se vedo cose molto belle e coinvolgenti. Ma naturalmente non riesco a partecipare le grandi superfici, le pitture murali figurative. Banksy è un caso a parte, in tutti i sensi. Non vado oltre alla piccola dimensione e alla sintesi grafica.
La riedizione di Frogmen include un breve paragrafo in cui racconti le esperienze fatte a New York nel 1979. Vuoi aggiungere qualcosa su quel periodo? Hai menzionato Basquiat, ti ricordi di aver visto dei graffiti sui treni della metropolitana? Cosa ne pensavi all’epoca?
Ero a N.Y. nel 1978-79. I miei ricordi di quel periodo li ho sintetizzati nelle righe di cronaca aggiunte alla riedizione del libro. Devo confessare che non ho ricordi particolari delle scritte e delle firme dei ragazzi sui vagoni della subway. Probabilmente vivevo molto più in superficie e mi spostavo a piedi. Ma ricordo benissimo le scritte di SAMO sui muri fuori dalle Gallerie d’arte, i suoi commenti sul sociale e sulle mode. Vivevamo nella stessa zona di Alphabet City. Basquiat l’ho conosciuto solo anni dopo, quando ormai si trascinava dietro profumo di dollari.
Artisti e writers generalmente condividono un’opinione molto forte sulle opere realizzate nel passato – talvolta ne vanno fieri, talvolta se ne vergognano o ne restano indifferenti. Qual è oggi la tua relazione con Frogmen?
Si sa di segni e tracce sui muri, esortazioni o scongiuri, anche nell’antica Roma. Credo di essermi inserito in quella tradizione. Certo, la sagoma del sub che avevo ritagliato nel cartoncino mi lasciava – e mi lascia – soddisfatto perché molto in linea con il mio stile, la mia sintesi grafica. Potrebbe essere il marchio di una casa editrice…
Hai un passato nel mondo della pubblicità, che hai successivamente sviluppato in una carriera da artista visivo ed editore (Smith Editore). Frogmen include un testo particolarmente oscuro e misterioso. Perché hai deciso di scrivere sul processo creativo? Quali movimenti letterari/autori hanno influenzato il tuo modo di scrivere?
L’amore per i libri e i giornalini, la voglia di pubblicare l’avevo nel sangue fin da ragazzino, prescolare addirittura. Smith è stata una deriva inevitabile. Quando misi insieme il libro di Frogmen, semplicemente raccolsi i pensieri e i commenti sparsi nella mia agenda. Nel frattempo Silvia Marilli, fotografava le imprese della notte. Dunque nessuno stile e nessun modello di scrittura, a parte, se si vuole, gli scrittori che leggevo volentieri: Pizzuto, Joyce, Céline, Queneau, Gadda. E Luciano Bardi si addossò il duro compito della traduzione in Inglese.
In una delle nostre conversazioni, hai detto che il Situazionismo è stato particolarmente influente per il progetto, e in generale per la tua vita. Puoi argomentare su questa relazione con il Situazionismo?
I movimenti di rottura, le avanguardie del secolo scorso, mi hanno certamente influenzato. Dadaisti, Surrealisti, Situazionisti, e i CO.BR.A., con Jorn e Alechinsky molto consonanti con il mio stile. Infine Duchamp principe e affossatore di tutte le arti.
Hai familiarità con la street art della Firenze di oggi?
Dalla mia residenza sulle Colline Metallifere scendo a Firenze piuttosto di rado. Ancora più raramente frequento le periferie. Vedo masse colorate di fascinosi ghirigori sui muri che avvicinano le stazioni ferroviarie o i ponti lungo l’Arno. A tutt’oggi mi è capitato di conoscere un solo autore di murali; Stelle Confuse, con la serie di ben strutturati lavori pieni di foglie.
Come metti in paragone la gestione culturale della Città di Firenze degli anni ‘70 e ‘80 con quella odierna? Come funzionava la censura dei graffiti rispetto a oggi?
Ripeto che la massa di graffiti spesso ha fascino e rende vivaci zone residenziali altrimenti squallide e degradate. Il Comune di Firenze credo si sia sempre e solo limitato a ripulire o cancellare scritte e disegni su monumenti e architetture turisticamente importanti. Ieri come oggi Firenze bada al look in funzione dell’immagine classica e nobile, colta ma da esportazione.
Che cosa diresti agli artisti che lavorano oggi in strada?
Non penso di avere numeri e conoscenze per dare suggerimenti o consigli agli “artisti di strada”, oggi. Quarantatré anni dopo… O forse uno sì: cercate con forza l’originalità, cercate di uscire dal branco (che è probabilmente all’opposto di quanto suggerivano molte avanguardie di inizio ‘900).
C’è qualcos’altro che vuoi aggiungere?
Vorrei aggiungere: meglio un uovo oggi che una gallina domani. Buono per tutti. E poi: Mai rimandare, never put off.